UN GIORNO NUOVO

 

La vista, contrita negli occhi dalle risa, schiarisce lo stanzone, velato dalle luci artificiali, e al contempo la gaiezza effimera dell’incontro si dirada nello spazio.

Senza che me ne accorgessi, la carrozzina, sospinta da una forza occulta, mi presenta a ridosso di un lettino, ad altezza stinco apparecchiato da cuscini di varie forme, che scalpita all’idea che sarò io ad adornarlo a banchetto sacrificale.

Armando, impettito, si appresta spedito a mettere i freni alla sedia mobile e ad ergermi di peso, per poi adagiarmi sul lettino imbandito all’occasione.

Solo allora, Giuseppe, fa un cenno di intesa e di ringraziamento ad Armando, che, ciondolando, si allontana e si licenzia in tutta fretta.

Giuseppe è un fisioterapista che, al cospetto dei suoi pari, lì presenti, sembra essere il più illuminato e stimato della propria gerarchia.

Il camice , finemente sbottonato, lascia intravedere a contrasto una cravatta, impreziosita da una spilla in oro, che lo fa borghese, ma al tempo stesso,in un contesto di guerra, lo rende anticonformista.

Si siede accanto a me, fianco a fianco, e raccogliendo le mie mani nelle sue, si presenta delicatamente al tatto, intorpidito, delle mie.

Intendo le sue intenzioni e nel suo caldo gesto mi rassereno.

Sfilato il tutore rigido dall’arto e fugata dalla mente la paura per l’ignoto onnipresente, intesi di come il braccio, custodito adesso tra le sue, fosse bloccato dalla spalla in giù senza che io potessi far nulla per muoverlo.

Dal suo capace e dotto investigare, capì come esso fosse indenne da ferite secondarie riportate nell’anonimo conflitto.

Alla sua lesta ispezione seguì un altrettanto risoluto, quanto spiazzante:

– Albè iniziamo!?

Sembrava essere una domanda, ma era un preavviso.

Di lì a poco, i suoi intenti divengono azioni, risolute e ripetute, per tentar di scuotere e risvegliare l’arto da una posizione anchilosata e oscena a una più aggraziata e naturale.

Il dolore che ne segue è talmente intenso e lacerante che nella sofferenza risveglio, ne sono certo, attitudini caratteriali di sopportazione, ancestrali e misconosciute.

La concentrazione, impressa nel suo sguardo, esalta le sue attitudini professionali, ma non lo esime da una mia truce loquacità di improperi e maledizioni.

Bestemmie come concentrati di rabbia, avvilimento e inaccettabile sottomissione.

Sono sfinito e lo sa bene Armando che mi soccorre esanime, strappandomi al decubito desolante della tortura.

Il Giuseppe ha capito di aver esagerato e avvicinandosi con gli occhi innanzi ai miei, mi fa:

– Scusa.

Una giustificazione a cui non segue alcun perdono.

Le ruote girano, la carrozzina avanza e le luci in me si spengono.