MARINELLA

Lungo il tragitto incontro infermieri, medici, pazienti e carrozzelle avulsi alla mia memoria e perciò mai incontrati.

Con la stessa curiosità di un bambino, osservo tutto ciò mi capiti a tiro, ma non domando mai al mio cocchiere né il reparto in cui ci troviamo, né il perché di tali strane menomazioni e il perché di tanti afflitti, anche se un’idea, talune volte riesco pure a farmela.

Nel mentre scandaglio e cerco di capire, in un silenzio rigoroso, Armando che mi conduce alle mie spalle, quasi si piega su di me per accertarsi che non sia ricaduto nel sonno, come spesso capita.

– Aò semo arrivati!

E mi pone dinanzi con lo sguardo e la carrozzella a tiro, ad un’ampia porta a vetri dietro cui si intravede a malapena un grosso faro circolare a centro stanza.

Armando qui è di casa, ragion per cui, penso, dopo un breve TOC e TOC, apre e si presenta alle presenti, tutte donne, con un baldanzoso saluto stile Alberto Sordi.

Ricambiato il saluto non altrettanto scenografico di quel de l’Armando, le donne, in camice e tutte in coro mi si fanno incontro per farmi dentro e chiudere la porta in viso al mio cicerone.

Volendo dire meglio, dirò che trattasi di tre belle donne dai capelli biondi e una mora incolorita mogano che prendendomi le mani, mi sorride e abbassandosi ad altezza dei miei occhi mi fa:

– Buongiorno, io sono Marinella, fisioterapista occupazionale!

La guardo per capire meglio, cui segue silenzio e attesa, giacché sento d’avere pure i neuroni arruginiti.

L’attimo si dilata, ma lei non fugge dai miei occhi prima che io le sorridi e le dica:

– Alberto, piacere.

Annuisce con un cenno ed un sorriso, poi mi tira a sé.

La sua attenzione va subito sul mio braccio incerottato e tenuto fermo ad una stecca.

Scuote la testa e, mentre lo fa, accarezza la mia.

– Hai ragione!

Mi dice e subito impartisce e comunica alle colleghe la volontà di volerne confezionare una nuova.

– Ti piacerà e sarà anche più comoda di questa. Vedrai sarà anche contenta la tua dottoressa.

Nel frattempo che le mie nuove conoscenze si alternavano nella preparazione dell’ausilio, mi guardavo attorno raccogliendo i cenni di saluto di altri menomati, quanto me, presenti là.

Tutti volti nuovi e nessuno con cui abbia potuto scambiare apprezzamenti di alcun genere circa la mia bella. Ella era una presenza fissa nei miei pensieri e così andando a ritroso, ricordai la sua improvvisata mattutina, sulla porta della mia stanza e ancor più il suo delicato cenno di intesa che sapeva tanto di confabulante intesa.

Riconobbi, in effetti, quello stesso sguardo, quando ai suoi quasi pari, impartì il nome di tal Giuseppe Paramonti, di cui già ho detto.

I pensieri si aggrovigliano e inizio a provar piacere nel districarmi in essi.

Strano è già, che nell’attesa non mi sia addormentato, così che Marinella, nel presagire tale eventualità, mi mostra fiera l’arto in vetro resina appena confezionato con maestria. Me lo pone sotto al braccio e facendomelo aderire, con delle fascette in velcro, me lo fissa attorno.

Già solo l’atto di smuovere un po’ il braccio mette a dura prova i miei nervi e la mia lingua che, se non si trovasse dinanzi a tante signore, ne avrebbe dette di ogni.

Marinella sembra compiacersi, con le altre, del lavoro fatto.

Io, invece, inizio ad avvertire le prime fitte, causa della nuova posizione più allungata e anatomicamente più corretta e, al contempo, non sento più i fastidiosi spuntoni, che mi hanno procurato delle lacerazioni dal gomito in giù.

Dei miei lamenti, Marinella sembra rattristarsi, tanto da farsi accanto con la sedia alla mia per stringermi la mano ed abbracciarmi.

Non ho ricordo di recenti abbracci così caldi, ma tanto basta, che sorrido a modo mio e lei con me.