SUA MAESTÀ…

Ciao nonno,
la tentazione, ora, è forte.
Mi tremano le mani e il cuore batte così forte e veloce, che pare voglia lasciare, solo a me, l’onta di questo gesto.
All’angolo, dov’eri sempre, c’è la teca di mamma dove custodisce i tuoi preziosi.
– Sì nonno… voglio aprirla, non ad oltraggio del tuo ricordo, ma affinché
possa sentire ancora viva la tua presenza e la tua saggezza suggerire ai miei passi, l’asfalto duro delle vie, che stanno sgretolando il viaggio alla mia vita.
Nel silenzio, i rintocchi del cuore, sono tanto simili a quei fragori di bombe, di cui dicevi, sentire ancora, di notte, cadere sulla steppa russa, tra le grida e il pianto degli amici commilitoni, di cui non hai mai smesso di parlarmi.

– Ehi nooo, che brava la mamma.
Il bauletto di faggio, verniciato a mano, non mostra alcun segno di cedimento o erosione del tempo.
Respiro ora.
Mi rassereno e sono ancor più convinto di cercar, tra le tue cose, le risposte alle ingannevoli domande, che questo presente avulso mi pone innanzi.
Il vecchio ingranaggio è ben oliato e schiude facile il suo contenuto alle mie mani appesantite dalla riverenza e dall’ossequio alla tua persona.

Ben al riparo dalla luce e all’interno del baule, una vecchia cintura in cuoio, ispessita dal tempo, un pettine tarlato dalla tua calvizie, una medaglia in bronzo impreziosita da stellette e un parco e robusto giradischi.
Sorrido e quasi mi vergogno, mentre lo faccio.
Esaudito il mio desiderio, nato per appagarmi e distogliermi dalla noia, ritorno sul mio riso, per ammonirmi e per fugare, alla presenza della tua foto, ogni qualsivoglia facile ironia.
Il povero tesoretto, a cui la mamma, dedica le sue cure, con gran dispendio di tempo ed energie, sulle prime, non sembra giustificarne alcun suo impegno.
Andando a scandagliare, quindi, e toccar con mano il valore antiquato di quegli oggetti, la vista intera e completa del musichiere, mi rimanda alle tue arie cantate con aria austera e presenziale.
Il silenzio, allora, si affievolisce, cambiando pure il tono del mio umore.
Mi soffermo sulla tua foto, effige in bianco e nero, del tuo carattere scarlatto e mi vien di dirti come stessimo di rimpetto:
– Ricordi nonno? Te ne stavi tutto il tempo qui a intonar le tue liriche, vaneggiando, son sicuro, di aver dinanzi le platee.
No… non fare caso a queste lacrime, così, come ho fatto finta io di non vedere quelle tue, quando la tua Nerina, se ne andò.
Il pentimento si fa più opprimente per non aver compreso prima, come, pur di non lamentarti, convivevi mestamente, con la tua solitudine e chissà quali pensieri.
Scusa nonno, se tante volte non ho capito il senso dei tuoi abbracci, pesanti e vigorosi.
Al pensiero, faccio fatica a respirare, che un nodo si stringe stretto, nella gola.
– Eh nonno…ricordi i racconti dei tuoi giochi, quelli che dicevi, ti facevano vincere tante mezze lire con gli amici?
E quando da parte, di nascosto dalla nonna, mi raccontavi delle tante donne che in sella al tuo Vespone, hai conquistato?
– Nonno, nonno…ma come potevo crederti se alla mamma hai sempre detto di non aver avuto mai, neanche, l’ombra di un soldo in tasca e che per poter portare il pane a casa, barattavi i doni della “tua terra”  col fornaio o la massaia.
Da giovane, eri un abile ed elegante chiacchierone, diceva mamma e hai continuato ad esserlo poi, certamente con noi nipoti.
Quante volte ho pensato alla tristezza della tua giovinezza, fatta di stenti e responsabilità.
Mamma lo dice sempre e, per la verità, anche gli anziani del paese, come fossi stato già uomo, pur avendo la mia età, a sostenere col tuo lavoro la famiglia.
La buon’anima della nonna, ricordo, mi raccontava come fossi tu a dar la sveglia al gallo e a concitare le galline del pollaio a far le uova per mamma e  zia Teresa.
La nonna preparava il tuo fagotto con riguardo e diligenza.
La mamma dice che non vi ha mai visto, che so, darvi un bacio o fare effusioni, neanche in casa.
Tornavi all’imbrunire, a volte un poco alticcio, sfatto dal lavoro, ma pur sempre, con qualcosa in mano per le tue ragazze, che ti aspettavano come premio, al loro giorno gramo.
Lo racconta, ma si vede, che è emozionata, di quando, attorno a quel tavolo, disfavi quel tuo involto e distribuivi il contenuto come fosse il pasto di un reale.
– Con quello si cenava.
La sera, poi, calava e la notte aspettava il sonno di noi tutti -dice ancora mamma.
É lucida e radiosa, si vede nonno che eri proprio un grande re.