EMOZIONI… COVID

Sera scura, muta e diffidente.
La luce a led del garage ravviva, risaltando, gli spigoli e gli intoppi nella retrocamera.
Le manovre di parcheggio, tanto uguali e immutate, rendono quasi inutile la mia presenza e partecipazione alla manovra.
Ecco, sono fermo io, nell’auto spenta e solida.
Il vecchio quadro del nonno sbuffa la sua pipa e incute austerità.
Sono spossato e fiacco.
La portiera aprendosi, detona, nell’attimo, quell’eterno silenzio in cui le cose stanno senza lamento e volontà a scomporsi.
Dallo stipite semichiuso di un armadio a muro, si intravede la figura d’un poeta d’altri tempi, impressionato su carta povera oramai a brandelli.
Gli sorrido e, lo stesso, fa Lui con me.
Mi avvicino e scosto la luce dal suo volto.
Gradisce, giacché non servono altri bagliori alla sua perpetuità.
Il gesto appena fatto mi riunisce, come spesso accade, alla fredda e inanimata quotidianità di monili, cimeli e familiari effigi.
Smosso richiudo lo sportello per tornare, rapido, sullo sguardo del nonno schiarito dal fumo dissipato dai suoi occhi.
La sua postura ritratta è sempre quella, ma Lui conosce bene quelle mie e non perde tempo di domandarmi e pungolarmi ad esser franco.
La stanza e tutto ciò che è in lei, si accosta a me e si mette in ascolto dei miei pensieri. Dico:

– I profumi del giardino antistante la clinica sono cambiati.
L’odore fresco dell’erbetta sempre verde e il rumore dirimente della fontana a cascata che irrompe nel grande atrio, non smuovono più gli animi depressi e preoccupati di parenti e amici in attesa di notizie confortanti.
La gente giace in silenzio religioso su divani troppo ampi e comodi, a testa china, mentre tutto il personale di reception si affretta con solerzia a rispondere ai telefoni sparsi in ogni dove.
Il mio naturale incedere, ad un certo punto, ha bisogno di fermarsi e ricercare qualcosa che non disperda nulla, che possa ancora fare, per ottemperare ed essere di conforto per qualcuno.
Su di me, sento calamitarsi le attenzioni di uomini e donne, resi fragili dalle attuali contingenze e dalla lontananza dai propri cari, imposta dalle restrizioni.
Mi rimetto, perciò, a loro per far da sicuro araldo e portavoce dei loro teneri pizzini da recapitare ai piani superiori.
I molti di loro che si avvicinano a me, sono volti conosciuti che in questi anni ho imparato a conoscere nei programmi di screening cui si sottopongono i loro famigliari e amici.
Nel mentre mi trattengo con loro, rifletto con tristezza alla strana e insana lontananza imposta da questa assurda realtà e mi impegno di riempire i miei occhi del loro amor da corrispondere ai loro cari.
…ho ancora il tatto impresso della mano di Guida sulla mia, allietato dalla visita in stanza e per l’attento resoconto dei saluti, a lui recapitati.
Il sollievo di essere nelle preoccupazioni dei parenti si fa felicità e, in stanza, ne percepiamo la presenza entrambi.
Gli sorrido, poi ripongo più in là il vassoio della sua cena consumata e lo saluto.
Il mio esserci è anche questo e in questo momento sono come tutti miei
parenti – continuo dicendo agli uditori in stanza.
Adesso è la porta, l’utimo baluardo tra me e la mia famiglia, che apro e richiudo alle mie spalle, non dopo aver cercato il commiato dal nonno e dalla sua eterna sfumacchiata.