DEJAVU
Un’aia antica
con stie di pollame abbandonate
sonnecchia
non lontana da un centro
un tempo cittadino.
Sopra un busto sfigurato
dorme fiacco un gatto
che par non faccia gola manco
a un cane larvizzato
a sua volta nato lupo.
Le stagioni e i giorni
hanno stonacato i muri
d’una chiesa madre
resa viscida dall’incuria e
profanata chissà quando
dai bilanci comunali.
La sovrasta
una spartana torre campanaria
tirata su
più coi rudimenti contadini
che coi teoremi.
Al centro
un campanile d’oro scuro
abbandonato dal padre chierico
alla mia vista smuove l’aria e
grida sordo la sua rivalsa.
Il silenzio si fa mistico e
dall’alto un alito dispotico
mi spinge a
cercar per altri la clemenza
nell’agognato gesto.
Mi avvio a dar la spinta e
attendo sua riconoscenza.
Rimbombo
eco e reazione d’onde
nei vicoli del borgo.
Felino il micio inerte
al latrare della bestia ossa e nervi.
Cadono calcinacci
come guglie dalla cattedrale.
Redivive case
soffiano polvere dai tetti e
nella piazza ridestata
il vociar
degli antenati fieri e
rinsaviti.