RACCONTI ALLA LUNA
Stasera, il cielo è terso.
Lo si capisce dalle mille stille di luce che ti circondano.
Intravedo il tuo contorno circolare dietro la lastra impolverata a carta forno.
La segreta in cui riposo, ha smesso di reagire e stridere alle membra d’un fantasma fatto dentro.
Voci anonime, aspre e laceranti diminuiscono e si dissolvono al calar delle oscurità, a fronte di una qualche efferata sentenza o di galenico intruglio.
Zelante, una donna in camice bianco orlato, ha richiuso la sedia a ruote, che mi accoglie storpio e mi conduce, dietro anonima spinta, tra corridoi e stanze, uguali e sconosciute.
La signora corpulenta, allora, mi si fa incontro e, accertata la tenuta delle sbarre a letto, mi fissa, scrive e se ne va.
– A lè… buona notte!
Sono queste le uniche parole, che un giovane e bel ragazzo, mi rivolge ogni sera a quest’ora.
Lui è un combattente fiero che non conosce lacrima, ferito al fronte e agli arti giacché anche lui su una sedia a ruote cingolate.
Non si cura molto di me o forse non vuole dimostrarmelo, ma credo che lo faccia per non sentir pena.
Vorrei chiedergli tante cose, ma non so nulla di lui e neanche di me.
Il desiderio di sapere che ho, è tanto; l’unica cosa certa è il dolore corporale che mi affligge e mi avvilisce.
Non resti che tu, presenza astrale, a interloquir con me e dare un senso alle mie istanze.
Illogico è il presente, per cui dimmi: chi sono io e perché questo a me?
Di colpo la finestra, morta e inespressiva, diviene lente alla tua luce e nel tuo luccichio, riconosco un linguaggio alieno.
Nasce una conversazione interessante in cui ti incalzo e non accetto il tuo far finta di voltarti.
Ogni tanto vedo pure il tuo sorriso, o almeno penso, che è come me lo aspetto, che mi deride e quasi si fa burla delle mie domande.
Devo riconoscere, però, se non altro, che sai ascoltare.
– Ahò lo senti Nico come russa?
Balenii e lampeggi.
– Bhè che ridi? …effettivamente, forse, anche io non son di meno, ma è colpa del pulviscolo sottile che si leva dal materasso a ogni mio movimento, che mi crea fastidio e irritazione quasi fossi allergico o magari lo ero già da prima…
Sparisci per poi ricomparire.
– Pensavo te ne fossi andata!
…
La finestra rappezzata a vetri, diversamente trasparenti, ti cela parzialmente alla mia vista, ma dispersa la nube che ti oscurava, ritorni a fare capolino nel cielo trapuntato.
– … non ho sonno! Mi fa male tutto! Ma mi vedi come sono conciato!?
Luce fissa. Mi stai ascoltando.
– Stamattina, sono venuti a trovarmi medici e infermieri che hanno fatto tutti insieme girotondo attorno a me. Erano sei o sette, uomini e donne. Nel mentre il dottore, il più superbo del gruppo, parlava, una di loro, si è piegata su di me e passandomi una mano fra i capelli mi ha sussurrato – Staa tranquillo.
Nei corridoi la luce diviene più tenue e il bagliore fuori si fa più intenso. Vuoi sapere di più.
– Sì. Era molto carina.
…
– Mi sono sforzato di sorriderle. Chissà se ha capito… che le ho sorriso dico.
Reggeva una cartella passata dall’infermiera con un nome e cognome: Alberto Trentin.
E’ il mio. Sono come lusingato e al tempo stesso rinfrancato, ora che so d’esser stato battezzato.
Lei fa finta di leggere, ma ha lo sguardo che insegue i miei occhi e in essi si compiace.
La bella dottoressa, allora, chiama a sé gli infermieri e detta qualcosa che capiscono solo loro, perché lo riscrivono solerti su un taccuino.
Ha fascino e carisma la ragazza, lo si capisce dal rispetto che, il più vecchio, meglio titolato, dimostra alle sue disquisizioni.
Intanto, affianco, Nico si tira su e si dà contegno al presagire del suo turno. Intendo allora che sta per finire il mio momento.
Per un po’ i miei blocchi e le paresi paiono sciolti e il dolore attenuato.
Il grande omone rude, districandosi, si allontana e il letto si chiarisce alla luce del giorno dietro le sue larghe spalle.
La luce è del sole di una mattina, ma il torpore dell’anima è per lei, che, prima di andarsene, abbandona il suo contegno per abbracciarmi.
Sfolgorìo. Ti compiaci…
– Notte.