L’ELEFANTE FELICE
La grassa risata fatta ieri con Giuseppe, ha fatto sì che dormissi di un sonno pesante e senza enigmatici incubi che mi lasciano, sovente, sveglio per cercare di capirne il senso.
Già al mattino, infatti, risvegliato dal rumoreggiare mattiniero del compagno di stanza, mi riconosco carico di propositivi intenti.
Gli spasimi viscerali e le contrazioni alle mosse false e azzardate del mio corpo urlante non scandiscono più i miei risvegli.
Quei segni sordi e graffianti, giorno dopo giorno, notte dopo notte, hanno affievolito, oramai, la loro intensità e come voce roca in un coro stanco, si apprestano a lasciare il palco a voci nuove.
Temerario mi guardo attorno.
Mi sporgo oltre la spondina ferrosa e getto lo sguardo oltre l’alta siepe a ridosso della finestra.
La luce del mattino è forte abbastanza da illuminare da sola la stanza ancorata alla sua ordinaria fissità.
Tanto è che l’umore mio e di Nico appare chiaramente rinfrancato.
Riflessa, sul torbido e secolare vetro di una finestra intelaiata a delle spesse mura, spicca la chioma bionda di Nico che coi suoi occhi azzurri, silenziosamente e visibilmente compiaciuto, osserva i miei audaci movimenti.
Il mio letto è distante dal suo quanto lo spazio che serve alle carrozzelle per potersi muovere tra di essi.
Sorrido e mi fa piacere farglielo sapere, rotolando con tutte le coperte, dure del mio letto, per voltarmi al suo cospetto.
Lo guardo più attentamente, vincendo il naturale pudore che ho nel rivelarmi, oltremodo, agli occhi altrui.
Il motivo deriva chiaramente dalla condizione fisica, che non accetto pur non conoscendone altra, che mi sia appartenuta.
Vinte le mie remore, insisto nel tenere le mie attenzioni su di egli e a rispondere a tono alle sue argomentazioni che non tardano ad arrivare. Mi fa infatti:
– Te lo stò a dì. Stasera sc’è la Nazionale in TV. Se voi venì sc’annamo assieme!
Pur riconoscendo il favore degli dei, non avrei mai immaginato di dover rispondere ad un così inatteso invito, che per me, ha una miriade di significati nuovi e insoliti.
Tutti ugualmente edificanti quanto lusinghieri di una primigena vita sociale che non fosse quella tra me e un qualche operatore addetto alla mia riabilitazione.
Voglio rispondergli in fretta, perciò, prevalgo sulla apatica indolenza e inerzia della bocca a sillabare.
Indurito fieramente sopra il materasso, mi protendo a lui e faccio:
– Certo amico mio.